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RICOMINCIARE

“Via, via, non perderti per niente al mondo
lo spettacolo d’arte varia di uno innamorato di te…”
P. Conte


Dedicato a Franca Bersanetti, che con le sue meravigliose
storie mi ha fatto tornare la voglia di scrivere…

Autore: Rogiari
Sommario: in un universo alternativo dove non esistono né vampiri né cacciatrici, due persone (abbastanza) normali imparano a conoscersi: sono Buffy Summers e William Shelby, detto Spike. E’ così difficile ricominciare ad amare dopo un passato difficile?
Genere: assolutamente rosa. Non è una storia thriller, non è un horror, non è un giallo, non è fantasy. E’ una storia d’amore, e delle difficoltà d’amare nel vivere quotidiano. Chi non ama il genere, prego astenersi. Non si accetteranno lamentele dopo.
Rating: sebbene io non abbia alcun timore ad usare l’NC – 17, questa è una storia d’amore romantica e non vietata, nella migliore tradizione di “Il ritratto di William”
Feedback: sempre graditissimo a rogiari@fastwebnet.it. Come sanno bene tutti coloro che negli anni mi hanno scritto, nessuna mail verrà lasciata senza risposta….
Disclaimer: quest’opera non è stata realizzata a scopo di lucro. I personaggi appartengono a Joss Whedon, la Mutant Enemy, la Fox.

Sunnydale, California, Ottobre 2003.


Tutto è ricominciato con una telefonata.
E’ andata Dawn all’apparecchio, mentre io davo la pappa a Christine. Quando ho visto la sua faccia sbiancare, ho capito che doveva trattarsi di qualcosa di grave.
Non era una novità. Di colpi del destino ne avevo dovuti sopportare parecchi da quel giorno di primavera di molti anni prima in cui mio padre aveva deciso che vivere con sua moglie Joyce, e con le sue figlie Buffy e Dawn, era semplicemente troppo. E che voleva godersi il suo stipendio da manager in pace, portando le sue segretarie, a turno, alle Barbados.
“E’ Cordy” ha sussurrato Dawn, ed ho preso il microfono. Cordelia non sembrava agitata, non lo sembra mai. Era sicura di sé come al solito…e c’era nella sua voce una pietà profonda, una compassione che non ricordo di averle mai sentito prima.
“Si tratta di Darla…e del bambino…” mi disse. “Buffy, Darla è morta. Non ha retto le fatiche del parto”
Non so come mi sentii. L’avevo odiata tanto a lungo…tanto intensamente. Avevo spesso dato a lei la colpa della rottura del mio rapporto con Angel, anche se – in fondo al cuore – sapevo che non era lei la colpevole. Lei era rimasta incinta, ed Angel si era riavvicinato a lei. Ancora prima, lei aveva avuto la leucemia, ed Angel mi aveva lasciato per badare a lei. E la mia vita, nel mentre, era andata a rotoli, cercando conforto in Parker, quell’idiota, e poi in Riley.
Riley al quale avevo dato una figlia, Christine, e che non ero mai riuscita davvero ad amare.
Mi concentrai su ciò che Cordelia mia stava raccontando. Darla era morta, a poche ore dalla nascita di suo figlio Connor, ma il bambino stava bene. Ed anche Angel…anche se ora era diventato un ragazzo padre. La cosa è divertente e romantica solo nei film di Natale.
“Verrai al funerale?” mi chiese Cordelia, praticamente. Annuii, e poi mi resi conto che lei – dall’altro capo della linea – non poteva sentirmi. “Sì, verrò.” Ci scambiammo i nostri saluti, uniti a qualche indicazione pratica per raggiungere il luogo della sepoltura, e poi ci lasciammo.
Dawn non disse nulla. Venne a sedersi accanto a me, accarezzando il capo biondo della sua nipotina. Christine aveva ereditato i colori di Riley, capelli biondo scuro ed occhi azzurro – grigi, ma per il resto era il mio ritratto. In fondo, ne ero egoisticamente fiera.
Non c’eravamo lasciati male, con Riley. Quando lui era andato in missione in Iraq, ancora non sapeva che ero incinta, ma tra noi era già finita. Non riuscivo a provare per lui, per nessuno, l’amore che un tempo avevo provato per Angel…e non me ne davo pace.
E non se ne dava lui.
La mia freddezza emotiva ci aveva divisi già al tempo in cui mia madre era morta, alcuni anni prima, e poi era stato peggio. Eravamo usciti ancora insieme, per un breve periodo avevamo persino convissuto, ma non ci eravamo sposati, nonostante le sue continue insistenze. Io non lo amavo, ed il sesso ci divideva più che unirci. Non so se definirmi frigida, non lo credo, ma quello che lui aveva da darmi in camera da letto non mi è mai bastato.
E con Angel…è stato tutto così breve, così traumatico, da lasciarmi solo un ricordo amaro in bocca.
Quando Riley era partito per la guerra, a novembre dello scorso anno, avevamo deciso di comune accordo che lui non sarebbe tornato da me. Lui aveva conosciuto una collega, Sam, ed i due si erano sorprendentemente sposati, a marzo, sotto il fuoco nemico. Io ero già incinta di sette mesi.
Non l’avevo detto a Riley che quando era già stato troppo tardi. Non concepivo nemmeno l’idea di abortire…ma sapevo che lui non l’avrebbe proposto. Sarebbe diventato suo padre, a tutti gli effetti, pur conscio che non si sarebbe potuto per ciò solo riavvicinare a me. Riley diede il suo nome a Christine, ed io rinunciai – pazzo orgoglio! – a qualunque assegno di mantenimento. Acconsentii solo a che lui costituisse un fondo per il college della bambina.
Grazie a Dio, Riley si era poi sposato, e la vita lo allontanava naturalmente da sua figlia. Cosicché, lei ora era tutta mia. E di Dawn.
E così, ora Darla si era spenta. Potevo pensare che fosse improvvisamente svanito il principale ostacolo tra me ed Angel, ma non volli ingannarmi. Sapevo che la nostra storia era finita tanto tempo prima, nel momento stesso in cui lui era uscito, con i suoi ventisette anni, dal mio letto verginale di diciassettenne per precipitarsi in quello di Drusilla. Ed ora, forse eravamo ancora amici, ma troppe cose, troppe sofferenze ci separavano.
“Andrai?” mi chiese Dawn.
Annuii. Sì, sarei andata. Avevamo qualcosa in comune, io, Darla, Drusilla e Cordelia. A turno, eravamo state le donne di Angel.
E quel giorno, lo sapevo, saremmo state tutte accanto a lui.



Dawn non volle venire. A torto o a ragione, nutriva ancora del rancore nei suoi confronti. In quelli di Angel, intendo. Lei era solo una bambina quando ci eravamo amati, ma la sofferenza che lui mi aveva causato non le era sfuggita, anzi, l’aveva colpita forse più profondamente per quel motivo.
Poi, mamma era stata male, con Riley le cose non erano andate bene, e sia io che lei avevamo messo da parte l’amarezza per quel che era accaduto allora.
Ma ora lei non se la sentiva di affettare un dolore che non provava neppure in minima parte.
Andai con Willow, allora, la mia migliore amica. Anche Willow aveva avuto i suoi problemi, ma ora stava meglio. La disgrazia che aveva colpito Tara, la sua ragazza, uccisa durante una rapina in un ristorante, l’aveva spinta sull’orlo del baratro. Una dipendenza dagli psicofarmaci, e gravi problemi psicologici, l’avevano quasi distrutta. Quasi. Willow è stata forte, e si è ripresa. Come me.
Ora siamo accanto alla fossa, di fronte a noi Angel e Cordelia. Sono entrambi alti, bruni, belli, e si stringono le mani. Li guardo. Non stanno ancora insieme, ma so che presto accadrà. Lo sento. E non ne sono gelosa. Solo un po’ triste. Come sono triste per Darla, per la sua giovinezza svanita, torturata dalla malattia, da un lungo, lentissimo, recupero, ed ora spezzata.
Ricordo Darla mentre la bara di mogano viene abbassata nel terreno. Era bella, bellissima, bionda, dalla bellezza quasi eterea. Era più bella di me. Sorrido appena. A mio modo di vedere, tutte le donne di Angel sono più belle di me. Maledetta insicurezza.
Alzo lo sguardo e intravedo la figura aggraziata e sottile di Drusilla. L’alta Drusilla dai lunghi capelli neri e dagli occhi violetti. La creatura che Angel ha voluto con passione cieca, e poi rivoluto, spezzando nel contempo il mio cuore e quello di Darla… Come al solito, non è sola.
E’ venuta con lui.
Il senso di fastidio che provo è profondissimo, eppure, sono anni che non lo vedo. Spike. Alias William Shelby, il poeta maledetto. Cantore della generazione X con i suoi libri di poesie e racconti vendutissimi in tutto il mondo. L’amante di Drusilla, il suo compagno.
Prima, durante, e dopo Angel.
Lui si accorge del mio sguardo e mi sorride. Mi sorride con quella faccia da schiaffi che aborro. Solleva persino un sopracciglio, ironicamente. Insomma, sfodera tutto il repertorio.
Faccio finta di niente, e guardo dall’altra parte, lieta che Willow sia appesa al mio braccio e non mi lasci sola. Quanto lo disprezzo…si è tenuto Drusilla anche quando è stato evidente che lei non lo amava affatto e delirava invece per il suo “paparino”. E’ arrivato al punto di offrirmi il suo aiuto per separarli. Squallido.
Eppure, ho letto i suoi libri, e non sono male. Ogni due pagine circa sollevo gli occhi al cielo per le idiozie che scrive (sono sicura che non ha vissuto tutte quelle esperienze), ma poi finisco il volume tutte le volte. Alla biblioteca civica di Sunnydale sanno che devono mettermi da parte le sue opere man mano che arrivano. Una volta mi sono persino spinta a dire alla bibliotecaria che lo conoscevo…e che era un gran figlio di buona donna. Lei ha riso, e mi ha chiesto se dal vivo era così affascinante come appariva nella foto in quarta di copertina. Una foto in bianco e nero, dove risaltavano le linee decise del suo volto, i suoi occhi ingannevolmente trasparenti e la sua bocca sensuale. Non sapevo che portasse ancora i capelli platinati, come allora. Eccomi accontentata.
Mi sto rendendo conto che sto dedicando fin troppo tempo a William Shelby. Lui, dal canto suo, è tranquillo, immoto, sta vicino a Dru ma non le tiene la mano. Non come un tempo.
Riporto la mia attenzione su Angel. Se non lo conoscessi così bene, il suo muto dolore mi commuoverebbe fino al midollo. Così alto, bello, tenebroso, romantico…gli manca solo una camicia bianca svolazzante ed una spada, poi, sarebbe perfetto sulla copertina di un paperback rosa.
Ma lo conosco. E so che lui prova muto dolore anche per la sconfitta dei Jets.
Suvvia, ora è il turno di Cordelia di consolarlo, dentro e fuori dal letto. Quasi sollevata da questo pensiero, mi avvio verso la mia piccola utilitaria, con Willow sempre appesa al braccio. D’un tratto, lei si riscuote, e mi fissa con i suoi trasparenti occhi castani.
“Buffy…volevo andare un po’ sulla tomba di Tara, se non ti spiace. Ci possiamo vedere alla macchina, tra un’oretta”
Annuisco. Vorrei accompagnarla, ma intuisco che preferisce stare da sola. Mi rassegno ad un caffè solitario nel bar del cimitero, tanto per far passare il tempo. Non ho nessuna voglia di parlare con loro.
“Ciao, bellezza”
Mi giro al suono di quella voce beffarda che conosco così bene.
“Come stai, Spike?” gli chiedo, come se fossimo mai stati amici. Non lo siamo mai stati, invece. Più che altro, riluttanti alleati sullo stesso lato della barricata.
“Bene. Ti vedo in forma smagliante”
“Per quanto lo si possa essere ad un funerale” commento.
“Andiamo a prenderci un caffè?” mi propone lui, indicando con un cenno della mano la figura di Willow che si allontana nella leggerissima nebbiolina ottobrina. E sì che siamo in California. Un’orribile giornata per essere sepolti, mi dico.
Avrei voglia di mandarlo a stendere, ma me ne manca l’energia. Gli indico io Dru. “Lei non viene?”
“Non siamo venuti insieme” sorride lui, socchiudendo gli occhi per scrutarmi meglio. “Sono anni che non stiamo più insieme. Da allora”
“Io credevo…” non importa quel che credevo. Evidentemente mi stavo sbagliando. Dru sta abbracciando Angel sotto lo sguardo sospettoso di Cordelia e, Cielo, grazie a Dio non sono più fatti miei. Spike si sta dirigendo verso il bar, e mio malgrado lo seguo. Lui aggiusta il passo con il mio, ed il suo spolverino di pelle nera, così anacronistico, gli accarezza le gambe. Camminiamo insieme nel silenzio, e sembra che non abbiamo mai fatto altro.
Quando arriviamo al bar, quasi deserto, lui mi tiene la sedia per farmi sedere. La sua cortesia da Vecchio Mondo è anacronistica tanto quando il suo look da punk primi anni ottanta, eppure, gli donano entrambi. Ordiniamo due cappuccini e ci godiamo la quiete.
“Sono venuto per Darla. E per Angel.” mi spiega poi lui, in attesa che il barista ci serva. “Pare difficile ricordarsene, dopo tutto questo tempo, ma eravamo amici. Stavamo sempre insieme, a Londra. Loro due, io e Dru. Per un certo periodo abbiamo anche diviso un appartamento insieme a Notting Hill. Io scrivevo, Angel dipingeva e già cominciava a muovere i primi passi come detective, e Darla e Dru erano belle e nostre”
Io lo fisso da sotto le ciglia. Ricordo benissimo “Memorie di Notting Hill”, capitolo III, pag. 349, il suo quarto libro. Laddove raccontava di lui e di un altro ragazzo fortunato, un irlandese dai capelli scuri, che si dividevano due appassionate, disinibite bellezze.
“Bei tempi, immagino” ironizzo.
“Bei tempi, davvero. Poi, siamo venuti in America, e sei arrivata tu”
Non rispondo. Il barista porta i cappuccini, ed affondo il cucchiaino nella densa schiuma. “Forse era ora che crescessimo” continua lui, non senza rimpianto. “Ma non credevo che, facendolo, sarei rimasto solo”
Lo fisso. Non mi fa nemmeno un po’ di pena. Sono sola anch’io, che diamine. Sono addirittura una mamma single. Ed è un’assurdità essere qui da soli insieme. Dovrei essere là, vicino alla bara di Darla, a consolare Angel.
“Tu…hai qualcuno, adesso?” mi chiede. Io lo fisso sorpresa. Mi stupisco che la cosa possa anche solo lontanamente interessargli.
“No, sono sola” ammetto. “Ho avuto un paio di storie, una in particolare, ma non sono finite bene”
“Nemmeno le mie” mi confessa lui. “Non credo potrò innamorarmi di nuovo. Non come con Dru. Siamo stati insieme quindici anni…eravamo praticamente bambini quando abbiamo cominciato.”
“Ma non così bambini che lei non fosse già stata la ragazza di Angel” non so perché mai mi prendo la briga di affondare il coltello nella piaga. Ma mi piace l’idea di metterlo a disagio. “Touchè” ammette lui “E’ vero, lei era la ragazza di Angel, e lui la lasciò per tornare da Darla. Ma allora sembrava che questi passaggi di letto e di affetto non fossero così importanti. Riuscivamo a vivere insieme, e ad essere felici. Almeno, credevo di esserlo”
“Prima hai detto che sono arrivata io. Non temere, sono stata solo una parentesi”
“Non credo” dice lui, bevendo il cappuccino. “Tu sei stata per Angel molto più importante di quel che credi. E io lo conosco bene. Ha sacrificato per te Darla, e se ha ceduto a Dru non è stato perché non ti amava…ma semplicemente perché non era pronto per un impegno di quel tipo. Lui aveva ventisette anni, quasi il doppio dei tuoi anni. Tua madre minacciò di denunciarlo, se non ti lasciava”
“Lo so” ammetto a denti stretti. “So quello che fece mia madre. Ma se davvero mi avesse amata, avremmo superato tutto insieme, anche questo. Invece, tornò da Dru, rovinò la sua storia con me, e quella di lei con te. E fummo tutti infelici. E di lì a poco Darla si ammalò di leucemia, e lui lasciò anche Dru. Ed ora siamo qui”
“Sbagli se lasci che quello che ti è accaduto così tanti anni fa, quando eri poco più di una bambina, ancora ti tocchi”
“E tu sbagli a giudicarmi. Non sai niente di me”
Ecco, è successo di nuovo. Abbiamo parlato per cinque minuti e già siamo ai ferri corti. Nemici mortali, come allora. La frase l’aveva naturalmente coniata lui, un giorno, esasperato dalla mia acidità. Infastidita, sono ad un passo dall’alzarmi e lasciarlo da solo. Ma una parte del mio cervello si rende conto che sarebbe una mossa quanto mai immatura. E stupida. Perché mai quell’idiota di William Shelby riesce ad andare sempre al nocciolo dei miei problemi? Ed a farmi infuriare, nel contempo?
“Tua madre aveva ragione” dice lui, ed il tono dolente, quasi, con cui lo dice improvvisamente mi rabbonisce. So che la stimava davvero. Quando si vedevano, mamma aveva sempre una parola buona per lui, e della cioccolata calda. Sa Dio di che parlassero insieme, in quella cucina. Io ero troppo persa dietro a quell’infernale girotondo – Angel, Darla, Dru – per occuparmene. Come lo rimpiango! “Angel non era adatto a te. Era troppo vecchio, per cominciare, troppo esperto, e aveva troppi problemi. Tu eri solo una ragazzina…e non avrebbe dovuto sedurti. Fu irresponsabile, da parte sua. Irresponsabile e criminale”
“Ma mi amava” non so perché diavolo lo difenda ancora, ma sono fatta così. Oltretutto, mi sto contraddicendo alla grande. Gli ho appena detto che per Angel ero stata solo una parentesi. Lui sorride, sarcastico.
“Amarti? Sì, credo di sì, ma ciò non gli ha impedito di spezzarti il cuore” Spike mi guarda. “Parliamo però d’altro. A che scopo rivangare questi vecchi, dolorosi ricordi? Ho pensato molto a te, ultimamente”
Sono sempre più stupita. Ripenso al mazzo di fiori senza biglietto che arrivò a casa nostra il giorno dopo la morte di mia madre. Ora come allora, sono sicura che sia stato lui a mandarlo. Mi riscuoto da questo pensiero dolce – amaro. “Pensavi a me? E perché di grazia?”
La mia ironia sembra non poter far nulla per scalfirlo. “Mi hanno offerto un semestre di lezioni all’università di Sunnydale, letteratura contemporanea. Beh, sei l’unica persona che conosco a Sunnydale. Bene, intendo”
“Non siamo mai stati così intimi” rettifico io.
“No, forse, ma abbiamo diviso qualcosa di molto personale”
Questo è indubbiamente vero. I nostri amanti andavano a letto insieme, più personale di così. “Davvero?” rispondo con falsa cordialità. “Beh, torna a trovarci, allora, quando ti sarai sistemato. A Dawn farà sicuramente piacere rivederti”
Lui sorride, per una volta senza ironia. “La mia piccola rondinella. Come sta? E’ diventata bellissima, come prometteva?”
“Sì” rispondo, anche io sinceramente. “E’ splendida. In tutti i sensi”
“Perché allora non facciamo sabato?”
Lo guardo. Quando gli ho detto di venirci a trovare, lo facevo per cortesia, certa che lui avrebbe rifiutato. Andiamo, non ci siamo mai trovati neppure simpatici. Quanto a me, l’ho sempre tollerato a mala pena. E poi, non può venire a casa nostra! A fare che? A parlare di che? E poi a casa c’è Christine, e il Cielo sa che non ho nessuna voglia di discutere con lui del fallimento della mia vita sentimentale (non che mi vergogni della mia splendida bambina, che è la cosa più bella che potesse mai capitarmi).
Sembro a quel che pare un cerbiatto di fronte ai fanali di un camion, perché lui si mette a ridere. “Andiamo, appari terrorizzata alla prospettiva. Ti faccio così paura? Non hai nessun bisogno di metterti a cucinare. Vi porterei io fuori, tu e la rondinella. Che ne dici? Mi trasferisco a Sunnydale giovedì, e questo mi da’ un po’ di tempo per sistemarmi prima del nostro appuntamento”
Appuntamento? Chi ha parlato di appuntamenti? Chi ha mai osato mettere i nomi “Buffy” e “Spike” insieme al sostantivo “appuntamento”? La mia confusione deve sembrargli comica.
“Non ti ho chiesto di sposarmi” mi dice, divertito. “Sono solo in città e non mi spiacerebbe passare un po’ di tempo con due vecchie conoscenze come te e tua sorella. Tutto qui. Se ti va”
Penso rapidissimamente al modo di sottrarmi a questo impegno che mi sembra insormontabile, quando Willow appare al di là del vetro. Lei sorride al vedere Spike. Non lo abbraccia, ma gli tende cordialmente una mano. “Sono felice di rivederti. Ho letto alcuni dei tuoi libri e sono splendidi. Ti fermi a Los Angeles?”
Lui si alza e le fa posto cortesemente al tavolo. Willow nota che io sto ancora rimuginando, e la cosa non la stupisce. Sa che non l’ho mai potuto soffrire.
“In verità, come stavo raccontando a Buffy, sto per trasferirmi nella vostra Sunnydale. Insegnerò all’università, letteratura contemporanea. Per un semestre…forse più, se la cosa funzionerà”
“Ma è magnifico!” esclama Willow. “Farò di tutto per iscrivermi al tuo corso. Anche tu, Buffy?”
“Eh?” mi riscuoto. Frequento solo un paio di corsi a semestre, e solo di sera. L’idea che lui possa essere il mio docente – semplicemente – mi terrorizza.
“Sarebbe magnifico, avere delle facce familiari nell’uditorio. Non sapete come possano essere intimidatori gli studenti” scherza lui.
Lo osservo mentre ride con Willow. Mia madre soleva dirmi come non ci fosse matrimonio senza lacrime, e funerale senza risate. Quanto era saggia…
Intanto, mi viene un’idea clamorosa.
“Willow, sabato sera Spike porterà fuori me e Dawn. Ti unisci a noi?”
“Sì, è una magnifica idea” appoggia lui, non sorprendendomi nemmeno un po’.
“Perché no” sorride Willow. “Rinuncerò al mio solito sabato al Bronze con gli Harris…ma credo che ne varrà la pena”
“Gli Harris?” indaga lui.
“Il mio amico Xander e sua moglie Anya. Quella ragazza svedese, amica di Cordelia…”
“Ricordo. Molto carina” commenta lui. Io, intanto, gioisco per il buon esito delle mie manovre. Usciremo insieme, sì, ma con Dawn e Willow, e se riuscirò a trovare una babysitter in tempo, lui non saprà nulla di Christine e di Riley e dei miei problemi.
Ci lasciamo sulla soglia del bar. Ci troveremo alle otto, sabato sera, alla Casa Rosada di Sunnydale, un allegro ristorantino messicano a noi familiare.
Spike bacia familiarmente Willow sulla guancia, e fa lo stesso con me. Il suo odore mi avvolge e, sorprendentemente, non è per niente sgradevole. Lo sto ancora annusando, che lui è già lontano, diretto verso una mostruosità nera di macchina, che Xander non avrebbe difficoltà ad identificare come una deSoto del 1969.
Willow mi fissa con la sua solita aria saputa.
“Sei sicura che lui volesse che ci fossi anch’io?”
“Che vuoi dire?” affetto la mia aria più innocente.
“Forse era un appuntamento, con te, quello che aveva in mente”
Rido. “Andiamo, non essere ridicola. Ci conosciamo appena, e non ci vediamo da un milione di anni. E poi, sarebbe l’ultimo uomo al mondo che…”
Ma Willow non mi sta più ascoltando. Ancora perplessa per la sua domanda, mi affretto a seguirla.



Sto preparando l’insalata quando Dawn rientra dal suo lavoro pomeridiano. Il denaro è sempre stato un problema da quando mamma è mancata, e purtroppo dobbiamo lavorare entrambe. Lei come commessa al centro commerciale, ed io al Doublemeat Palace. Tre anni di servizio continuativo mi sono però valsi un distintivo, un notevole aumento di stipendio, e l’incarico di vice – direttore del ristorante. Non male, tutto sommato.
Ci alterniamo alla cura di Christine, e quando non ci siamo entrambe – per via dei nostri impegni scolastici e lavorativi - la piccola va al nido. Odio l’idea che una bambina di cinque mesi sia già al nido, ma non ho alternative. Non ne ho da quando ho detto di no a tutte le generose offerte di Riley, e non me ne pento. Non voglio soldi da un uomo che non amo.
“Allora, come è andata?” mi chiede, aprendo il frigo ed addentando un pezzo di formaggio. Ha avuto in dono dalla mamma una figura alta e slanciata che non teme i cibi grassi. Io ho avuto in dono da qualche santa protettrice delle donne sotto il metro e sessanta lo scarso appetito. E così ci barcameniamo entrambe sotto la linea di galleggiamento.
“Triste. Doloroso. Sorprendente” le rispondo.
“L’elemento di sorpresa sarebbe…” indaga Dawn.
La guardo intenta, curiosa di vedere quale sarà la sua reazione. “Non hai idea di chi c’era”
Lei scuote il capo ed i suoi capelli impossibilmente luminosi splendono. Dawn potrebbe fare da modella per la pubblicità di uno shampoo.
“Spike” risponde lei.
Sono io quella sorpresa. Resto a bocca aperta.
“Come fai a saperlo?”
“Non poteva non essere presente. Non dopo quello che ha passato con Darla, Dru ed Angel, ed a causa di loro. E’ un sopravvissuto delle loro manovre, esattamente come te”
L’acutezza della sua analisi mi lascia basita. E’ andata a ripetizioni da Willow?
“Beh, c’è dell’altro” replico stizzita. “Si trasferisce a Sunnydale: insegnerà all’università. E ci ha invitato fuori a cena sabato, alla Casa Rosada”
“Ci?” indaga Dawn. “Non ti?”
“Ci” ribadisco, asserragliata con fermezza sulla mia Maginot. Non è un appuntamento. Anche se lui l’ha definito tale. “Io, te, e Willow”
“Scommetto che sei stata tu ad imbucarci, me e Willow” mi deride quel diavolo di una sorella.
“E perché mai avrei dovuto?”
“Perché è così che fai con qualsivoglia rappresentante del sesso maschile che non sia Angel. Yawn”
Le spaccherei la faccia, quando fa così. “Io respingerei gli uomini? Tu deliri. Sono una gattina appassionata, ed attiro gli uomini come le mosche al miele. Ma non Spike. E poi, neppure lui potrebbe mai provare nulla per me” abbasso gli occhi sull’insalata “Se non odio e disprezzo”
Dawn scoppia a ridere. Conosce meglio di me le mie pretestuosissime argomentazioni. Nell’ultimo anno, ho condotto vita più ritirata di quella di Madre Teresa.
Ora decido di stuzzicarla io un po’.
“Non sarà che hai ancora una cotta per lui?”
“Andiamo, ero ancora una poppante” risponde lei, per niente scossa. “E poi, non sono io quella che prende in prestito i suoi libri in biblioteca”
“Che vuol dire? Scrive bene, e poi…tolgo sempre la copertina!”
“Sì, per non sgualcirla” sorride malignamente lei. “Andiamo, se avevo una cotta per lui un motivo c’è. E’ l’essere maschile più sexy e coccoloso che abbia mai conosciuto. Anche mamma lo adorava, e lo sai…e mamma non si è mai fatta incantare da quel bel campione di mascolinità di Angel, per non parlare di Riley”
Io sono ancora ferma a “coccoloso”. Che diamine di parola è? Spike coccoloso? Con me è sempre stato sarcastico, pronto di parola, incapace di tralasciare un’occasione per esercitare la sua ironia.
Forse perché con la mia ossessione per Angel non gli ho dato mai motivo di…parlare d’altro? Di conoscerci meglio?
“Beh, comunque ci ha invitato fuori. Metteremo un bel vestito, saremo carine…e non parleremo di Christine”
“E perché mai?” indaga mia sorella. “E’ tua figlia…la tua vita”
“E lui è un estraneo”
Dawn non è convinta che, dopo tutto quello che abbiamo passato a causa di Angel e Dru, Spike possa ancora essere considerato un estraneo.
Io, invece, resto ferma sulle mie posizioni.
Mi sembra più prudente.


Sabato sera siamo puntuali e sgargianti come fiori alle otto, di fronte alla Casa Rosada. Io indosso un vestito di seta a fiorellini lilla con un giubbotto di pelle bordeaux molto fine, e Dawn è carinissima con i suoi jeans ed una maglietta in tinta. Willow è più curata del solito nella sua tenuta da Wicca lesbica, come ama definirla: casacca blusante e gonna lunga fino quasi alle caviglie. Un po’ figlia dei fiori, ma con chic.
Quando Spike arriva, mio malgrado mi prende un colpo.
Non ha lo spolverino, ed è elegantissimo. Ha un semplice paio di pantaloni beige ed una polo gialla canarino, e non sembra per niente il punk riottoso del giorno del funerale. Lui sorride e ci bacia sulle guance. Di nuovo sento il suo ineffabile odore, e stavolta ammetto – pur con tutte le resistenze del mondo - che mi piace. Sarà un figlio di buona donna, ma odora di buono e pulito. Con un tocco di muschio, qualcosa di molto maschile.
“Sarò l’uomo più invidiato della serata, con tutte queste bellezze” dice lui, dopo essersi complimentato con Dawn e Willow. Il fatto che non abbia rivolto nemmeno un complimento a me fa sorgere il legittimo sospetto che proprio non possa soffrirmi.
Allora perché diavolo mi ha invitata? Sono ancora irrazionalmente irritata quando il cameriere ci porta il menu.
Lui si lancia in una dissertazione dissacrante sul cibo messicano e le sue conseguenze gastriche che ci fa ridere fino alle lacrime, me compresa. E quando l’imbarazzo iniziale si spegne, mi rendo conto che è la serata più simpatica che io, Dawn e Willow abbiamo passato da molto tempo a questa parte.
Quando passa il ragazzo con le rose, il senor Shelby acquista tre boccioli e li distribuisce a ciascuna di noi. Dawn ridacchia, Willow è divertita ed io seccata. Non ci comprerà con due rose!
Poi, l’orchestrina attacca a suonare e lui invita a ballare sia Dawn che Willow. Di nuovo, faccio tappezzeria. Lo odierei, se non fosse che ogni volta che apre bocca dice qualcosa di terribilmente arguto, che mi irrita e mi diverte nel contempo. Non ho mai conosciuto un uomo che suscitasse in me sentimenti tanto ambivalenti.
Quando arriviamo al dessert si scusa, e va a fare una telefonata. So che ha il cellulare, l’ho visto, quindi irrazionalmente penso che stia chiamando Dru. E che non voglia che noi assistiamo alla chiamata. Fatti suoi. Quanto a me, ho già archiviato la serata nel file “Ai confini della realtà”.
“E’ così carino” ammette Willow. “Quasi desidero di non essere gay. Credi che sia solo?”
“Me l’ha detto” ribatto io. “Ma non capisco cosa stia cercando. Tu sei lesbica, Dawn è troppo giovane, e me mi detesta”
“Sì” ribatte Dawn. “Invitare qualcuno a cena è segno sicuro di grande odio…”
“Andiamo!” replico io. “Non mi ha nemmeno invitato a ballare…a quanto pare, non sopporta nemmeno il contatto del mio corpo”
“Forse è vero” medita Willow. “In un certo senso. Non quello che intendi tu” si affretta a spiegare. “Forse la tua vicinanza lo eccita al punto che preferisce starti lontano…almeno in pubblico”
L’ipotesi è semplicemente ridicola. Sto ancora studiando una risposta appropriata quando lui torna. Capiamo che ha usato la scusa della telefonata per pagare il conto, ed il pensiero inspiegabilmente mi solleva.
Lo ringraziamo e usciamo. So che l’educazione mi impone di ricambiare un così cortese invito.
“E’ stata una serata piacevolissima” gli dico, e non sto mentendo. “Sarebbe carino vederci ancora. La prossima settimana potrei procurarmi qualche biglietto per il baseball. Che ne dici?”
“Perché no” risponde lui senza sbilanciarsi. “Ci sentiamo”
La sua improvvisa compostezza mi irrita alquanto. Sembra che il suo infantile interesse per noi (no, non è un plurale maiestatis) sia già terminato. Il giocattolo si è già rotto. Sono sempre più contenta di non avergli detto di Christine, e di non avergli aperto le porte di casa mia.
Ci lasciamo così, civilmente, io e lui. E si lasciano così, affettuosamente, lui e Dawn e Willow.
Quando siamo in macchina, io non parlo. Dawn è stanca, e Willow sta pensando al gravoso impegno della domenica, giorno che da sempre dedica al volontariato. Io, invece, ho un turno doppio al Doublemeat Palace: una domenica sì ed una no sostituisco il direttore. Paga doppia.
Lasciamo Willow al suo dormitorio, ed io e Dawn torniamo a casa.
Lei, ad un tratto, rompe il silenzio.
“Non so se te ne sei accorta” dice, sbadigliando. “Ma gli piaci”
Mi giro per fissarla e quasi finisco dall’altro lato della carreggiata. “Sei matta?” replico dopo, senza fiato. “Ma se non mi ha neanche invitata a ballare!”
“Appunto” ripete lei, ribadendo sinteticamente il concetto già affermato da Willow.
“Ma se ha rifiutato il mio invito”
“Andiamo, cercava di darsi un contegno. E’ un uomo di mondo, non un dodicenne!” replica Dawn. “Sei già madre ed ancora conosci così poco gli uomini?”
Mi rendo conto che non li ho mai conosciuti davvero. A volte mi sembra che il mio sviluppo emotivo si sia fermato ai sedici anni. Ad Angel.
“Credo che tu ti sbagli” replico.
“E io credo di no” fa lei con il suo tono più saputo.
Non so più cosa dire. Se anche fosse vero…e dico “se”…sarebbe la cosa più imbarazzante del mondo. Mi è sempre stato insopportabile, e…
“E’ bello, sexy, credo ricco, persino famoso negli ambienti letterari. Cosa c’è che non va?” mi prende in giro mia sorella. “Non è Angel?”
“Piantala” ribadisco. “E rimani con la testa sulle spalle”
“E tu con gli occhi sulla strada” replica lei.
La nostra conversazione termina così. Quando arriviamo a casa, la babysitter (che poi è Janice, l’amica di Dawn da sempre) ci accoglie entusiasta.
“Regali per voi, belle signore”
La fissiamo, incredule. Sul tavolo del salotto fanno bella mostra di sé un bouquet di roselline ed un mazzo di dodici rose rosse dodici. Baccarat a stelo lungo.
Dawn fischia.
Prende le roselline gialle e sorride. Il biglietto dice solo, da un lato, “William Shelby”, e dall’altro “Alla mia rondinella che ha spiegato le ali”.
Io prendo le rose in mano. Sono splendide. Nessuno me ne ha mai regalate di così belle, tranne Angel, quando già era tornato nel letto di Drusilla e mi torturava.
Leggo il biglietto. E sorrido mio malgrado.
In bella calligrafia, con una stilografica, è stato vergato questo breve messaggio: “Nemici Mortali”.



Non dico che stavo pensando a lui quando l’ho rivisto la domenica sera, al Doublemeat Palace, perché non è vero. Stavo pensando alle rose, a quanto erano belle, a quanto erano piaciute a Christine, che aveva teso la manina per toccarle ed il nasino per aspirarne l’odore.
Poi, ho alzato gli occhi, e lui era lì, di fronte a me. Sorrideva.
“Hai scoperto il mio più turpe segreto” gli dico, sconfitta, mentre lui osserva senza scomporsi il mio cappello con la mucca, e la mia divisa. “Tre anni”, dice il mio distintivo.
“Il lavoro è lavoro” commenta lui filosoficamente, e si appoggia al bancone delle ordinazioni. Sono con il dito sulla cassa, pronta a fargli lo scontrino. “Hai un momento?” mi chiede. “Vorrei parlarti di una cosa”.
Annuisco. Batto lo scontrino per due caffè e due fette di torta alle mele e lo pago io. Lui sorride, e mi fa strada verso uno dei separé. La mia collega per la serata mi lancia uno sguardo eloquente, e prende il mio posto.
“Ho avuto la sensazione che tu fossi un po’ a disagio, ieri sera” mi dice. Visto così da vicino, i suoi occhi sono ancora più intensi e trasparenti di quanto ricordassi. Ricordo bene come possono diventare freddi…ma ancora non li ho mai visti così, con quella luce calda che non ha nulla a che vedere con i neon del locale e che ora gli riscalda lo sguardo. “Io, al contrario, sono felice di averti rivisto. Sei una donna interessante, e mi piacerebbe conoscerti meglio”
“Pensavo già ci conoscessimo” replico, ancora sulla difensiva.
“Io credo invece che non ci conosciamo affatto. Andiamo, all’epoca tu avevi diciassette anni, ed io l’autocontrollo di un bambino di cinque anni, per giunta iperattivo.” Rido mio malgrado all’analogia: lo Spike che ricordavo era proprio così. “Tutto era così emozionante, così definitivo…amavo Dru, non potevo vivere senza di lei, e tu morivi dietro ad Angel ed ai suoi giochetti. Credo che quelle persone abbiano davvero poco a che fare con quello che siamo oggi”
“Io sono oggi una donna che lavora con indosso un cappello con una mucca”
Lui fa spallucce. “E allora? Sei brava, se sei resistita tre anni in un posto così, e lo sanno anche loro. Scommetto che tra pochi mesi dirigerai tu la baracca”
E’ probabile, ammetto tra me e me. Si fa carriera in fretta nei fast – food, basta resistere. Ed io sono una campionessa di sopravvivenza.
“Per farla breve, forse dovremmo abbandonare i preconcetti su chi siamo e cercare di scoprirci. Potremmo diventare davvero amici”
Lo studio con interesse. E’ questo quello che vuole da me? Un’amicizia? Perché io? Sono una donna carina: d’accordo, a diciassette anni ero la reginetta della scuola, regina di Homecoming, reginetta di maggio, regina del Ballo finale. Non sono cambiata al punto di diventare repellente, anzi, non sono cambiata quasi per niente, ma non sono Naomi Campbell. Sono alta un metro e sessanta, ho occhi verdi che più di un uomo ha definito bellissimi, magra al limite dell’eccessivo e con un viso che voglio credere bello, di carattere, nonostante il naso un po’ a patata. Sono cresciuta, questo si.
Ed ho una figlia, oltre ad un lavoro sottopagato, e lui non lo sa.
Se vuole un’avventura, casca male, malissimo. Sono la donna meno abbordabile del mondo, se non l’avesse ancora capito.
“Cosa proponi?” gli chiedo, senza sbilanciarmi.
Lui sorride con i suoi soliti trentasei denti.
“Un week – end insieme a Las Vegas”




Quasi mi strozzo con il caffè. Vuole portarmi…a Las Vegas? A giocare d’azzardo? Lui, uno scrittore dai gusti raffinati?
“Adoro giocare a poker, e sono abbastanza inglese da amare la trasgressione che si respira in quella città” mi spiega lui. “Giocare a carte mi da’ l’illusione di riuscire ad esercitare un certo controllo su di me…quando non riesco a vincere, lascio il gioco. Non è per i soldi, ma per il potere su me stesso, sulla mia volontà. Non so se conosci la città, ma è così eccessiva da risultare…affascinante. Potremmo partire venerdì sera…e tornare domenica pomeriggio, se non devi lavorare. Naturalmente, saresti mia ospite in tutto e per tutto”
“Non ci posso credere” commento. “Non ci vediamo da anni…e mi proponi di venire con te nel regno della perdizione?”
“Sì…non è magnifico?” sussurra.
Rispondo prima che la parte razionale del mio cervello abbia il sopravvento.
“Accetto” gli dico. “Ma ad una condizione: stanze separate”
“E’ naturale” sorride lui, come se il contrario non gli avesse nemmeno sfiorato la mente. “Non faremo nulla che non vorrai”
Lo dice come una minaccia, e già mi pento di aver accettato. Non faccio vacanza da…non so, un paio d’anni, ero stata con Riley un Natale nello Iowa, in una disastrosa riunione familiare dove tutti avevano litigato tra di loro. E poi, Cielo, Christine! Come posso lasciarla per andare con uno sconosciuto…che ho sempre odiato…nella città del vizio?
Lui legge le mie perplessità sul mio volto, e mi sorride. “E ‘solo un viaggetto tra amici, rilassati. Prometto che non farò nulla per imbarazzarti, e che non ti lascerò sola per ore e ore mentre gioco a carte. Ci sono parecchi spettacoli a cui assistere, e casinò da visitare, alcuni sono dei veri e propri reperti storici. Ci divertiremo, vedrai”
Lo fisso e mi dico che deve avermi dato di volta il cervello. Io e lui a Las Vegas! E’ assurdo! Se me l’avessero detto solo una settimana fa…
Ma chi sono io per dire di no ad una vacanza pagata in una città che ho sempre segretamente desiderato visitare? So che per Christine non sarebbe un enorme problema: si tratta di meno di due giorni. E poi, Dawn nel week – end è a casa. E volendo ci sono anche Willow, e Xander ed Anya. Anzi, sarebbe una buona idea se Willow si trasferisse da noi per quei due giorni…so che sto approfittando di loro, ma so anche che sono secoli che insistono perché io mi prenda una vacanza. Perché non ora?
Lo guardo di sottecchi, soppesando tutte le possibilità, e dicendomi che – in fondo, in fondo – l’idea di andare con lui a Las Vegas mi attira. E’ un uomo intelligente, almeno questo devo riconoscerglielo, e saprà rendere il viaggio interessante.
“Non ti aspetti nulla da me, vero?” indago. A intenditore, poche parole.
“Cosa dovrei aspettarmi?” replica lui innocentemente. “Allora, siamo d’accordo? Vengo a prenderti venerdì alle cinque di sera. Abiti sempre in Revello Drive, non è vero?”
“Sì, ma facciamo alle cinque e mezza” rispondo, ancora incredula di avergli detto di sì. Lui sorride, come se non si fosse aspettato nulla di diverso fin dal principio.
Restiamo ancora un po’ seduti a parlare del più e del meno (io basita per aver accettato la sua proposta) e poi gli faccio gentilmente notare che devo riprendere a lavorare. Mi ringrazia per il caffè e la torta e mi da’ appuntamento per venerdì. Lo guardo andare via in preda al più totale sbigottimento.
“Chi è quel figo pazzesco?” mi chiede subito Sophie, la mia collega.
“Un amico” rispondo, ancora soprappensiero. “Potresti fare tu il secondo turno, venerdì?”




E’ successo. Sono seduta accanto a lui su di una mostruosità di macchina nera (so che ho già usato questa espressione, ma non me ne vengono in mente di migliori per descriverla) diretta a Las Vegas e fa freddo nel deserto. Mi stringo addosso un maglione bianco, mentre lui accende il riscaldamento. Ascoltiamo i Ramones, e sono troppo stanca per protestare. La settimana è passata in un lampo, cercando di preparare tutto e tutti, e cercando soprattutto di spiegare ai miei amici l’inspiegabile: che sto andando a Las Vegas con Spike.
Christine non deve aver capito che mi assentavo per più delle solite quattro/otto ore, e non ha protestato. Ho avuto la benedizione di Willow e Dawn, e persino quella di Xander e Anya. Xander non ha una grande simpatia per “testa ossigenata”, come ha sempre definito Spike, ma mi rispetta abbastanza da non mettere mai in discussione le mie decisioni. Anche quando ho lasciato Riley, di cui lui era nemmeno troppo segretamente innamorato.
“Hai fame? Ci fermiamo a mangiare un boccone?”
“No, ho più che altro freddo” ammetto. “E sono stanca. Arriviamo presto in città, così potremmo mangiare in hotel e cambiarci”
“Sei pentita di essere venuta con me?” mi guarda di sotto in su, con quei suoi incredibili occhi blu. Qualcosa nel suo sguardo mi fa arrossire.
“No.” rispondo sinceramente, e mi accomodo meglio nel sedile. Nella notte, scorrono dal finestrino le luci dei sobborghi della città del gioco. La nostra meta non è lontana.
In queste ore trascorse insieme abbiamo parlato, ascoltato musica, ci siamo rilassati. Lui non ha fatto nulla di inopportuno, si è comportato con scioltezza. Io sono un po’ più tesa, ma non in modo sgradevole. E’ parecchio che non sono più sola con un uomo, e la cosa un pochino mi innervosisce.
Quando arriviamo alla svolta che porta al centro città, lui mi stringe rapidamente una mano. E’ un tocco veloce, amichevole, ma mi sconvolge fin nel profondo. Le sue dita sono lunghe, calde, ed è così consolante…non faccio in tempo a desiderare che lui tenga ancora la sua mano nella mia, che è già finito.
Sono delusa, ma cerco di non darlo a vedere. Lui ha un’espressione insondabile.
“Siamo arrivati” mi sorride, mentre parcheggia di fronte ad un enorme hotel di vetro ed acciaio cromato. Lancio un piccolo fischio. Non mi aspettavo qualcosa del genere. Lusso sfrenato!
Il portiere gallonato ritira le chiavi della deSoto senza fare nemmeno il più piccolo commento, come se fosse una Mercedes, e Spike mi fa strada verso l’interno. La sua mano tra le mie scapole, a spingermi dolcemente in avanti, è calda, gradevole.
“Il signor Shelby e la signora Summers” ci sorride il concierge. “Stanze 404 e 515. Quarto e quinto piano. Siamo lieti di ospitarla, signor Shelby, abbiamo tutti letto i suoi libri”
Spike ringrazia e segue il facchino che ci fa strada con le valige. Io mi rilasso: non solo abbiamo stanze separate, come promesso, ma anche su piani diversi.
Spike mi accompagna fino alla mia stanza e poi ridiscende verso la sua, dopo avermi dato appuntamento di lì a mezz’ora, per la cena.
Resto sola nella suite, e quasi mi dispiace. Un’enorme vetrata riempie di luci – le mille luci di Las Vegas – l’ampio soggiorno. C’è tutto: frigo, mobile bar, un bagno grande come il mio salotto a Sunnydale. E poi, una deliziosa camera da letto nei toni del ruggine, con un enorme mazzo di rose rosse. Ancora prima di leggere il biglietto so che sono sue. “Ogni tanto bisogna andare in vacanza! Spero che ti divertirai, W.” c’è scritto. Sorrido.
Sento l’impulso irrefrenabile di prendere il telefono e condividere con Dawn il mio entusiasmo per la bellissima stanza, il bellissimo viaggio, i fiori, tutto insomma…compresa la compagnia di Spike. Ma non me la sento di affrontare la sua curiosità, e rimando al dopo cena. Indosso un attillato vestito nero e lo raggiungo nel ristorante.
“Ti piace la tua stanza?”
“E’ splendida!” sorrido, e questa volta sinceramente. “Non avresti dovuto prenotare una suite, solo per me. Troppo spazio, troppo lusso. E le rose…grazie”
“Sono lieta che ti piacciano. Anche la mia stanza è gradevole…per essere un hotel di Las Vegas, non è male. Vengo sempre qui”
“Devono renderti bene, i tuoi libri”
“Abbastanza. Ma non sono un uomo ricco, se è quello che pensi”
“Non lo penso, ma sei sicuramente più ricco di me” sospiro io. “Ma non per questo ti invidio”
“E fai bene” replica lui. “Ho vissuto per talmente tanti anni in bolletta che il benessere economico non ha quasi nessun valore per me. Sono lieto di poter vivere bene, ma non dipendo dai lussi. Me ne concedo di rado”
“Per esempio?” indago.
“Per esempio, portare una donna bella ed intelligente in un posto che mi piace…rischiando le sue ire”
Sorrido. “Non sono arrabbiata con te”
“Non più, almeno. C’era un tempo in cui non mi potevi soffrire…ma spero che quel tempo sia finito”
“Lo è” ammetto serenamente. Da quella sera in cui Spike è venuto al fast food, ho smesso di vederlo con gli occhi del passato. E’ un uomo intelligente, e questo l’ho sempre saputo. Inoltre, credo che abbia sofferto molto. “Forse, sono solo curiosa. Mi chiedo cosa ti abbia tenuto legato tanto tempo a Dru”
“Lei è stata la mia prima ragazza” risponde lui, servendomi del vino. “In tutti i sensi. Ho scoperto con lei l’amore, la passione…e la sofferenza. Sapevo che amava Angel, l’ho sempre saputo, ma all’epoca sembrava naturale dividerla con lui e con Darla”
Lo fisso. Con Darla? In che senso?
“Beh…sessualmente, intendo”
Arrossisco. Così, lui, Angel, Darla e Dru…rabbrividisco. Il quadro che mi sta dipingendo è lontano anni luce dalle mie caste esperienze alla “missionaria” con Angel, Parker e Riley, anche se la cosa non mi stupisce. Affatto.
“Non credevo di sconvolgerti” sorride lui. “Scusami”
“Vai avanti” lo invito, bevendo un sorso di vino della California.
“Abbiamo vissuto insieme per parecchi anni, lo sai. Ed io scrivevo, ed ero felice…quando mi hanno pubblicato i primi lavori, non stavo in me dalla gioia. Il mio editore mi ha consigliato di venire in America per cercare di entrare nel mercato americano. Angel e Darla si erano lasciati, ed ora Angel faceva il detective per la polizia di Sunnydale. Non mi sono posto troppe domande quando Dru ha proposto di trasferirci lì, almeno temporaneamente. La mia casa editrice era a Los Angeles, vicinissima. Sembrava una buona idea”
“Era una pessima idea” sorrido io. “Anche perché Angel stava indagando sul rapimento di una ragazza che frequentava il liceo di Sunnydale. E, guarda caso, la sera prima che lei sparisse eravamo state insieme ad una festa”
“Raccontami il vostro primo incontro” mi chiede lui, mentre servono gli antipasti.
“Mi hanno convocata nell’ufficio del Preside. Sono andata, e c’era quest’uomo che prendeva appunti e registrava le deposizioni dei ragazzi” lo guardo, e sento – con assoluta certezza – di potergli confessare tutto. “Non avevo mai visto un uomo così bello, nemmeno al cinema. Mi girava la testa, e riuscivo a rispondere alle sue domande solo a monosillabi”
“E poi cosa è successo?” mi chiede lui, curioso.
“All’uscita di scuola, mi stava aspettando. Gli chiesi se voleva farmi altre domande…e lui mi rispose che, sì, ne aveva una pronta. ‘Vuoi uscire con me?’ mi chiese, ed io quasi svenni. Che idiota!”
Spike scoppia a ridere, e spegne la sigaretta. “Tipico del grande Angel. Uno sguardo corrucciato e tanto fascino…con una preda così giovane, poi…non ti sei detta che forse era un po’ strano che un ragazzo quasi trentenne facesse la corte ad una sedicenne? Strano, e forse anche illegale”
“Capivo solo che il ragazzo più meraviglioso che avessi mai conosciuto mi aveva chiesto un appuntamento. Gli dissi di sì, ovviamente, ed andammo al Bronze, e lui fu un perfetto gentiluomo”
“Ma naturalmente” sorride Spike, sarcastico. “Era troppo astuto per rovinare il corteggiamento. Scommetto che fu lento e dolce e molto romantico…”
“Esatto” replico io, e mi sorprende quanto l’ironia di Spike, in questo momento, non mi ferisca affatto. Sono arrivata anch’io, da anni, alle medesime conclusioni.
“Fino a che…”
“Fino a che divenne una cosa troppo seria…ed una notte mi fermai a dormire da lui, nel suo appartamento. Avevo raccontato una bugia a mia madre, ma lei telefonò a Willow – che non sapeva niente – e mi scoprì. Quando tornai a casa, all’alba del mio diciassettesimo compleanno, mia madre minacciò di denunciarlo ai suoi superiori. Promisi che non l’avrei più rivisto…se solo lei avesse lasciato perdere. Lei accettò, e per un po’ io ed Angel non ci vedemmo. Ci scrivevamo, però, e lui continuava a ribadirmi il suo eterno amore, e che mi avrebbe aspettato”
“Invece, sedusse Drusilla” commenta Spike. “Ricordi? Tu avevi appena smesso di vederlo, e lui sedusse la mia ragazza. Per l’ennesima volta. Ed io fui così sciocco da venirti a proporti di riprendertelo…pur di tenerlo lontano da Dru”
“E io ti mandai a stendere” lo ricordo benissimo: Spike che veniva con me a casa mia, per parlare del “nostro” problema. Quanto l’avevo odiato, allora! Spike mi aveva aperto gli occhi, mi aveva rivelato con chi Angel passava le notti mentre affettava amore eterno per me. E lo avevo detestato per questo. E la sofferenza mi aveva scavato un buco nel cuore, qualcosa dal quale non ero mai guarita. Finché, un giorno, Angel aveva ammesso tutto. E si era trasferito a Los Angeles con Dru.
“Però, anche il loro rapporto non durò molto” continuò Spike. Finalmente, eravamo sul viale dei ricordi, proprio dove mi intendeva portare. Una volta per tutte, dovevamo chiarire il nostro passato, ero d’accordo. “Angel la lasciò tre mesi dopo, e tornò a Sunnydale, a dichiararti eterno amore. E tu te lo riprendesti”
“Sì, ma non feci mai più l’amore con lui” ammetto, rendendomi a mala pena conto di quanto intima sia questa mia confessione, ed a chi la sto facendo. “Ma più, dopo quella prima, quell’unica volta. Mia madre ci teneva gli occhi addosso, parlò con lui, cercò di convincerlo a lasciarmi…e quando finalmente sembrava che lei stesse cominciando ad accettarlo, tornò Darla.”
“Ed aveva la leucemia. E lui, che era stato il suo compagno per così tanti anni, non si sentì di abbandonarla” conclude Spike per me. “E così, addio Buffy, addio Sunnydale, addio tutti…aveva distrutto me, te ed anche Drusilla, ma cosa contava? Che magnifico egoista!”
“Sembra quasi che tu lo invidi!” commento, colpita dalla sua evidente amarezza…dopo tutti questi anni.
“Per lui è stato tutto facile. Ha avuto donne straordinarie…e le ha respinte, una dopo l’altra. Credi che la bella Cordelia avrà vita diversa?”
“Forse sì” ammetto. “Sono stati amici e colleghi per molti anni, forse per lei sarà diverso.” Gli sorrido. “Ma basta parlare del passato.”
“Non mi hai però detto nulla del padre di tua figlia”
Il bicchiere quasi mi cade dalle mani.
“Mia…mia figlia?” replico. “Come fai…a sapere…”
“Me l’ha detto la tua amica Cordelia”
Cordy, maledetta la sua boccaccia…annaspo alla ricerca del tovagliolo. “Io…non era mia intenzione mentirti. Te l’avrei detto…quanto prima”
“Rilassati, non te ne faccio una colpa” mi dice lui. “Non c’è ancora una tale intimità tra di noi per cui tu debba confessarmi tutta la tua vita. Tua figlia è – immagino – la cosa più importante per te e non mi stupisco che tu non voglia parlarne con un estraneo.”
“Non sei più un estraneo” ammetto. “Ed avrei dovuto dirtelo. Fin dal principio. Non so cosa mi ha preso…”
“Davvero lo pensi?” mi chiede, e leggo nei suoi occhi azzurri l’assoluta sincerità e gravità della domanda. Annuisco: ha smesso di essere un estraneo da qualche parte in mezzo al deserto del Nevada, mentre guidavamo in un silenzio confortevole come una calda coperta.
“Non intendo giudicarti” mi dice lui. “Sei fortunata ad avere una figlia. Hai chi ti ama in modo incondizionato…e poi, non c’è solo lei, ma anche tua sorella, i tuoi amici…”
“E tu?” gli chiedo.
“Io? Lassù qualcuno mi ama…” sorride, citando il titolo di un vecchio film “Sennò, non sarei qui stasera in compagnia di una donna come te”
Qualcosa si agita nel mio petto. Sento ad istinto che il suo non è un banale tentativo di seduzione. C’è una connessione vera tra di noi, qualcosa che – ora lo capisco – in fondo è sempre esistito.
Lui si alza, e mi tende una mano.
“Andiamo! Siamo creature della notte e la tenebra è nostra”
Lo seguo tra le mille luci della città.


Tre ore dopo, abbiamo vinto trecentocinquanta dollari in due: cinquanta io, ed il resto lui. Abbiamo giocato a chemin de fer, alle slot, alla roulette, ed infine l’ho guardato giocare a poker: ed è bravo. Gioca con una calma quasi scientifica, e vince forte. Quando si è accorto che stavo sbadigliando, ha lasciato il tavolo senza nemmeno una smorfia. Abbiamo vagato ancora un po’ per il casinò, vicini pur senza toccarci, ed infine siamo andati nel piccolo teatro. Una ragazza di colore cantava del blues, e ci siamo fermati ad ascoltarla. Parlava di amori finiti male.
Ho cercato di cancellare ogni pensiero dalla mente, ogni preconcetto. Ho avuto sfortuna in amore, forse è vero, ma in parte la colpa è anche mia. Spike aveva ragione, prima: Angel era troppo vecchio per me. Parker era un cretino in cerca di avventure con le matricole del college, e Riley…Riley non faceva per me. Semplicemente, non lo amavo. Mi piaceva, lo trovavo un ragazzo simpatico, rassicurante, ma non lo amavo. Ed inoltre non ero sessualmente attratta da lui.
Ora, stiamo ascoltando la cantante nella saletta in penombra, quasi deserta: Spike la segue con attenzione, ed io guardo lui. E’ un uomo che non ha mai nascosto la sua vulnerabilità: al contrario, ha sempre saputo fare della sua fragilità il suo punto di forza. Ne ha tratto ispirazione per i suoi libri, non ha mai respinto il dolore che deriva dall’amare troppo.
Io, al contrario, dopo l’ennesimo abbandono di Angel ho chiuso il mio cuore. Mi fa paura. Mi fa paura l’idea di dovermi aprire, e sento che con uno come Spike sarebbe più difficile che mai. Lui porta il suo cuore nei suoi occhi espressivi, ed io ne sarei terrorizzata. Non può che aspettarsi altrettanto da una donna, e sento che lo deluderei profondamente. Scuoto il capo: non ha nemmeno senso pensarci. Se diventiamo amici, sarà un’ottima cosa, ma nulla di più, non ci posso neppure pensare.
Non perché non mi piaccia.
Quando le sue mani mi sfiorano, anche casualmente, provo un lungo brivido, qualcosa che va a sommarsi alla gradevolezza del suo odore, al suo calore. Mi stupisce come all’epoca mi sembrasse assurdo, ed ora lo trovo bello.
Trovo belle le sue lunghe mani eleganti, belli i suoi occhi blu, capaci di passare dal freddo del ghiaccio al calore del fuoco in un istante, bella la sua bocca morbida, bello il suo corpo snello, muscoloso, aggraziato. Non è altissimo, questo no, ma non lo sono nemmeno io, e sembriamo fatti per combaciare, lo sento ad istinto. Mi chiedo cosa proverei a baciarlo…e lascio scivolare il mio sguardo sulla sua bocca.
Lui se ne accorge.
Trattengo il fiato, i miei occhi si spalancano. Lo so che guardare la bocca di un uomo è simbolo universale di attrazione sessuale. Ma non volevo…oppure, sì?
Mi guarda, anche lui indugia con lo sguardo sulla mia bocca.
Un brivido mi avvolge. E sento d’un tratto che sarebbe così naturale, così bello, così intenso se…
Arriva un cameriere, e riportiamo entrambi – imbarazzati – la nostra attenzione sulla cantante.
“Sei stanca?” mi chiede lui, dopo un po’, con voce un po’ alterata.
“Sì” replico piano. “La giornata è stata lunga. Che ne dici se…mi ritiro?”
“Ti accompagno” mi dice, e ci dirigiamo verso gli ascensori.
Ora siamo soli.
I numeri scorrono piano sul quadrante…e siamo soli. Io tengo le mani in grembo, improvvisamente conscia del mio corpo, del sangue che mi scorre nelle vene, caldo, impetuoso. Lui fissa le mie mani, e la sua mascella è contratta. Sorrido mio malgrado: sono una donna molto difficile da trattare, evidentemente.
“Ti ringrazio per questa bellissima serata” mi dice poi, e la tensione si stempera. Rilascio senza accorgermene il respiro che stavo trattenendo. “Domani sarà tutto per noi. Chiamami sul cellulare quando sei pronta…se ne hai voglia”
“Naturalmente. Mi sono divertita moltissimo, Spike. Ed è tutto merito tuo”
Usciamo dall’ascensore, e lui mi accompagna alla porta. Mi sorride, e infila la chiave nella porta. Io gli sorrido.
“A domani, allora” gli dico.
“A domani. Buona notte”.
Chiudo la porta sul suo volto sorridente, disteso.
Attendo un istante, sorrido tra me e me, e la riapro.
Senza parole, intreccio le mani intorno al suo collo e lo attiro a me. Le nostre labbra si uniscono spontaneamente, senza bisogno di parole, di spiegazioni. Senza imbarazzo.
E questo bacio ci cambia la vita.




Quando richiudo la porta per la seconda volta, mi rendo conto che non abbiamo parlato. Il bacio è stato meraviglioso: ha suscitato in me emozioni profonde, che non credo di aver mai provato prima. E’ stato un bacio semplice, dolce senza essere melenso, appassionato senza essere lascivo. E’ stato un momento dolcissimo, eppure molto naturale. Non mi stava seducendo, non lo stavo seducendo.
Ce lo siamo donato.
Ci siamo fissati un attimo e poi ci siamo sorrisi. Era semplicemente troppo presto, troppo prematuro per parlarne. Volevo solo andare a dormire, a sognare di quel bacio, la testa sul cuscino. Ed ho il sospetto che anche lui desiderava fare la stessa cosa.
Così, ho richiuso la porta e sono andata saltellando in bagno.
E’ stata una serata meravigliosa.



Ci siamo rivisti a colazione, sorprendentemente senza imbarazzo. L’ho chiamato sul cellulare, e poi ci siamo seduti insieme al tavolo, indugiando tra fette imburrate, caffè forte e succo d’arancia. Abbiamo parlato del più e del meno, e ci siamo sorrisi, ed i nostri gesti avevano la dolcezza profonda di un sentimento che nasce, una sensazione irripetibile.
Non ho voluto pensare ai miei problemi, a Christine, al lavoro, al college di Dawn da pagare. Non ho voluto soprattutto pensare alla mie difficoltà emotive, alla mia freddezza interiore. Non mi sta chiedendo ancora nulla: né amore, né passione. Ci stiamo conoscendo, e per me – ora – va benissimo così.
E’ davvero un peccato se mi concedo di sentire, di apprezzare la sensazione calda che mi da’ la sua presenza? Ci saranno prezzi da pagare, ma non voglio pensarci ora. In fondo, l’ha detto anche Spike: ogni tanto bisogna concedersi una vacanza.
Andiamo a fare un giro per la Strip e la luce del sole mattutino sembra persino troppo forte in questo mondo eminentemente notturno, perennemente illuminato dalle luci dei casinò. Invece, in fondo è una città come un'altra: la gente fa la spesa, mette benzina, si incontra nei caffè ai lati della strada. E mentre stiamo ammirando i vecchi casinò, i più fastosi, quelli dove cantavano il Rat Pack (Sinatra, Sammy Davis Jr., Dean Martin e quell’altro di cui non ricordo il nome) ed Elvis, il re, lui mi prende di nuovo la mano, ed è semplicemente perfetto.
Mi rendo conto che la gente ci guarda: siamo una coppia, in questo momento, e siamo belli. Lui è quel tanto più alto di me da risultare giusto, entrambi biondi, entrambi sorridenti. C’è in noi un’armonia particolare, qualcosa che forse non ho mai avuto prima con i miei amanti.
E non lo siamo ancora, amanti.
E’ tutto fresco, nuovo, pulito.
Visitiamo un paio di bizzarri musei, e per scherzo assistiamo ad una cerimonia di nozze. Lui ride quando io afferro al volo il bouquet, facendo arrabbiare le due amiche della sposa. Lo restituisco, e mi metto a ridere. Avrei potuto sposarmi, con Riley, me l’ha chiesto mille volte. Ma sono io che non ho voluto. Mio malgrado, racconto a Spike di Parker, quell’idiota. E giungo persino a raccontargli di Richard, un amico di Xander, un bel ragazzo bruno che mi ricordava fisicamente un po’ Angel (senza essere così bello, naturalmente, né così tenebroso: nessuno è bello e tenebroso come Angel), con cui sono uscita un paio di volte durante la mia gravidanza. Lui non si era fatto alcun problema per il mio stato, ma il mio cuore, come al solito, era assente. Freddo, immoto…indifferente. Non avevo più voluto uscire con lui, temevo un altro Riley in agguato.
Ora non è così.
Fisso di nuovo di nascosto il mio compagno, e mi rendo conto che potrei provare ogni tipo di sentimento, per Spike, ma mai l’indifferenza. Semplicemente, è impossibile.




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